Giacomo Moro

Giacomo Moro nacque a Viadana probabilmente poco dopo la metà del secolo XVI. Le notizie sulla vita, assai scarse, si desumono quasi solo dai frontespizi e dalle dediche delle sue opere. Secondo François- Joseph Fétis fu frate servita, notizia ripresa da Robert Eitner e dalla successiva bibliografia pur senza alcun sostegno documentario; nel 1616 Ippolito Donesmondi, elencandolo tra gli «Scrittori ecclesiastici mantovani», lo qualifica semplicemente come «franciscano» (e a Viadana esisteva da tempo un convento dei minori osservanti). Nel 1581, da Viadana, dedicò le canzonette a tre voci a Giulio Cesare Gonzaga, patrono dell’Accademia degli Invaghiti di Mantova; in questa raccolta, come anche nei successivi “Encomii musicali”, figurano alcune composizioni di Giovanni Agostino Veggio, musicista parmense al servizio del duca Ottavio Farnese e autore di almeno due libri di madrigali a cinque voci (Parma, 1574) e a quattro voci (1575). Ma la lettera dedicatoria non dà alcun indizio circa la relazione esistente tra i due compositori; la presenza di quelle canzonette di Veggio si potrebbe anche leggere come un omaggio dell’allievo al proprio maestro, come anche a un musicista caro al dedicatario (non sappiamo se Veggio fosse allora ancora a Parma o altrove): ma sono mere ipotesi non suffragate da documentazioni dirette o indirette. Poco dopo Moro si recò a Ferrara e per un certo tempo fu confessore di Torquato Tasso (allora rinchiuso nell’Ospedale di S. Anna), come indica una lettera del poeta a Giovan Battista Licino del 16 giugno 1586 («è venuto a vedermi fra Iacomo Moro, mio confessore»; Durante-Martellotti, 1988, p. 25). Ancora il Tasso nomina Moro nel dialogo “La Cavaletta overo de la poesia toscana”, composto in questo periodo ferrarese (1584-85), insieme ad Alfonso della Viola, Alessandro Striggio, Giovanni Animuccia, Luzzasco Luzzaschi, Ippolito Fiorino. A questi anni risalgono anche gli “Encomii musicali (1585) dedicati a Barbara Sanseverina d’Aragona, contessa di Sala, marchesa di Colorno e assidua frequentatrice della corte ferrarese (insieme a quelle di Parma e di Mantova), nonché dedicataria di numerosi sonetti dello stesso Tasso. In seguito Moro ebbe contatti con Piacenza (i salmi vespertini del 1595 furono dedicati alle monache del monastero di S. Maria della Neve), Reggio nell’Emilia, Bologna (dedica dell’ufficio dei defunti del 1599 a Giovanni Battista Busana di Reggio), Fivizzano (dedica dell’op. 8 a monsignor Ambrosio Magnanino rettore della chiesa della cittadina toscana), ma nulla sappiamo di eventuali incarichi musicali; forse le sue mansioni principali rimasero di carattere religioso. Il quarto libro dei concerti ecclesiastici fu dedicato ad Antonio Costantini, segretario del duca Vincenzo I Gonzaga, nel 1610; dopo tale pubblicazione, contenente un interessante «Avvertimento utile et necessario ai Maestri di Cappella et ai Cantori», non abbiamo più alcuna traccia di Moro. La sua vasta produzione musicale, poco indagata, abbraccia pressoché tutti i generi vocali-strumentali in auge tra Cinque e Seicento, seguendone le diverse tendenze. Dopo gli esordi in campo profano nel genere leggero della canzonetta e in quello più impegnato del madrigale polivocale, Moro si dedicò esclusivamente alla musica sacra, dapprima con una raccolta di salmi piuttosto tradizionale (ma anche con un ufficio dei defunti a 8 voci che spicca nel panorama di questo particolare genere), per poi cimentarsi definitivamente nel moderno concerto ecclesiastico con una ricca produzione di mottetti a poche voci e basso continuo, che rispondono a un principio di funzionalità liturgica commisurato alle risorse delle piccole cappelle musicali di provincia. Fa parziale eccezione l’op. 8, vasta antologia di musica sacra contenente mottetti da una a otto voci, falsi bordoni, composizioni per i Vespri e la Compieta, litanie lauretane e una messa a 8 voci basata sul madrigale “Lieto godeadi” Giovanni Gabrieli; nella silloge sono mescolate le più diverse tecniche compositive proprie dei vari generi, dall’eco alla diminuzione virtuosistica (mottetti passeggiati), dalla scrittura imitativa alla bicoralità tardo-cinquecentesca. Nell’op. 8 e nell’op. 10 compaiono anche canzoni strumentali (‘canzonette alla francesa’ sono definite sul frontespizio dell’op. 10), tutte a 4 voci (tranne una a 3) per due strumenti acuti e due gravi, composte secondo quell’ideale di bicoralità ridotta così frequente nella musica concertata del primo Seicento, soprattutto nel nord d’Italia. La funzionalità della sua musica, che peraltro rivela una mano salda e sicura e un indubbio talento, fu apprezzata degli editori d’oltralpe, che inclusero diversi suoi mottetti (soprattutto a 2 voci) in importanti antologie compilate per le cantorie tedesche, come quelle di Johannes Donfrid; inoltre almeno il quarto libro (ma forse anche qualcun altro) venne ripubblicato da Phalèse in più edizioni.

Fonte: Rodobaldo Tibaldi - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 77 (2012).